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Le culture primitive vedevano i buchi come fori per la luce, ingressi, porte, onfali magici in cui far convergere le segrete linee energetiche della materia. Cicatrici come mappe, tracciate sulla pelle per proteggersi dalle perturbazioni degli astri e dai folli malumori del sole e per suggere, allo stesso tempo, dalla corolla domata del cosmo la squisita linfa dell’estasi primeva. Il buco era l’atto rituale che sanciva il patto tra uomo e natura, sugello che rinnovava il contratto e invocava le forze, come baffi di corno inseriti nel naso a imitare il grande giaguaro sensibile alle correnti del vento o becchi d’osso impiantati nelle labbra a riecheggiare gli uccelli, vittime sacrificali e messaggeri di un dio diffuso e cosparso. Oggi l’uomo non vede che il sangue e il dolore, la fuoriuscita incontrollata dei fluidi e il tremito assurdo degli organi interni e si accontenta di occhi di vetro che, incapaci di trascendere, gli riflettono solo lo spettacolo spastico della sua fragile identità standardizzata. Invece di guardare nel buco, nel buco si richiude e la paura del buio rischia di togliergli per sempre la luce. Nel rituale l’uomo era carnefice, ma sapeva anche accettare di essere vittima. E il sangue era la chiave del ciclo in cui l’uomo cercava l’unità dei principi oltre la separazione delle cose; il sole e la luna, il maschile e il femminile si riconciliavano nell’atto che offende il corpo ma apre al divenire. Il rito di passaggio, fissandosi nel corpo, recuperava lo spirito della carne e valicava definitivamente la dicotomia della loro inconciliabilità. E’ per questo che l’organizzazione molecolare del nostro organismo necessita di tornare ad accrescersi con nuove zone tattili, supporti tecno-estetici in grado di ridefinire continuamente i limiti della nostra percezione. Ora sentiamo il bisogno di estenderci, di ampliare la scala del nostro DNA coscenziale. Ma questo corpo post-organico, questa immateriale fisicità a cui aspiriamo, è una trappola inventata dalla dittatura delle immagini o è la necessaria e dolorosa crescita condizionata dai modelli di sviluppo che l’umanità ha intrapreso in questi ultimi 2000 anni? Qualunque sia la nostra risposta, il dubbio è la necessaria cruna attraverso cui passa il filo dell’emancipazione. (CIT.)

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